Foto: Euripide, Ifigenia in Tauride, Jacopo Gassmann (regia di), Teatro Greco di Siracusa, 2022. Fotografia di scena di Michele Pantano, AFI-SR per Fondazione INDA. Ringrazio per la gentile concessione.
Accompagno in un percorso trasformativo rivolto a una migliore comprensione di sé, dei valori fondamentali per il proprio agire e dei bisogni inespressi. Cammino insieme, passo passo, alla scoperta di un proprio ritmo, dove possano essere scoperte le varie maschere che ci compongono e che costituiscono i nostri teatri interiori. Propongo di praticare insieme esercizi di presenza a se stessi e di ascolto, tratti dalla vasta tradizione della sapienza greca. Mi muovo cautamente con tecniche gestaltiche che sollecitino una chiara visione e aiutino a coltivare un'intenzione compassionevole verso se stessi e verso tutti gli esseri. La filosofia greca, la filosofia del tragico specificamente rivolta allo studio delle tragedie greche e il Dhamma sono sostegni imprescindibili per il tipo di lavoro che propongo e che porto avanti in quanto definiscono la mia natura di praticante e di ricercatrice.
Ricevo non lontano dal centro storico, in una bellissima cittadina sul fiume Adda a 40 km circa da Milano, Lodi. Tuttavia, seguo gruppi da remoto, lavoro come docente e formatrice e accompagno nelle consulenze da tutta Italia, prevalentemente online.
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Pensiamo che lavorare sul tragico significhi essere persone tristi o nichiliste, ma non è così. Nelle società crematistiche - dove, cioè, il valore e l'etica sono incentrate sui beni materiali e sul loro accumulo - siamo educati ed abituati a rifuggire il dolore esistenziale, come se non ci appartenesse, come se fosse una malattia in se stesso, come se ci rendesse folli. In questa organizzazione economico-sociale "senza dolore", l'esplorazione delle ferite esistenziali è vista come una perdita di tempo, spesso sminuita o appiattita ai linguaggi New-age. Il Teatro Tragico, inteso come dispositivo non soltanto politico ma anche etico (finanche iniziatico), ci mostra molto chiaramente che la contemplazione del dolore "messa in scena" in un recinto sacro e protetto, è necessaria al ben-vivere. Noi accettiamo il tragico, in qualunque forma si presenti, come una manifestazione dignitosissima della propria individualità, e sondiamo insieme se, oltre alla reale forza dis-unitiva, possa esserci anche un aspetto informativo e fomativo, che segnali una strada trasformativa da esplorare e percorrere insieme (il famoso pathei mathos).
Il termine tedesco Gestalt, introdotto da Ehrenfels e sviluppato a partire dagli anni ’30 nella scuola di Francoforte, significa “struttura” o “forma”. Come sappiamo, gli studi della Gestalt nascono come unicamente focalizzati sulla percezione, ma, nel corso del tempo, arrivano a toccare e influenzare diversi campi del sapere – dalla biologia, all’antropologia, alla psicologia. Con il termine “psicologia della percezione” si soleva evidenziare il principio secondo cui qualsivoglia fenomeno percettivo corrisponda a una struttura complessa e panoramica maggiore della somma delle parti che la compongono – almeno in termini di significato simbolico, potenzialità energetiche, organico-sensoriali e di sviluppo. Nato in un campo strettamente sperimentale e vivace, questo principio gestaltico viene presto applicato a un’etica esistenzialista, a un modo di vivere, che trova nell’interessante personaggio di Fritz S. Perls la massima applicazione nel campo della pratica psicanalitica.
Sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni ’50, la terapia che porta questo nome, la Gestalt Terapie viene a rappresentare dunque un tentativo di integrazione, decisamente unico nel suo genere per originalità, tra fenomenologia e pratiche filosofiche esistenzialiste, scienza della percezione, improvvisazione teatrale e Zen, con lo scopo di attuare una presa di contatto il più concreta possibile e radicata nel presente.